Il cardinale Bagnasco: “vuoto dell’anima obiettivo del mondo moderno. Trionfo di una società isolata e sottomessa che si crede sempre connessa”

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bagnasco-Papa Francesco

Intervistato dal Corriere il cardinale Angelo Bagnasco evidenzia che “oggi è più evidente che l’umanità è piena di paure: per questo è spesso arrogante e violenta, anche verso sé stessa. C’è bisogno di ritrovare le ragioni del vivere”

Massimo Franco per Il Corriere della Sera.it

«Credo sia stato saggio prendere ancora qualche giorno prima di cominciare il Conclave. I confratelli sono tanti, e molti non si conoscono tra loro. E c’è da sperare che ognuno esprima il suo pensiero. Per costruire tutti insieme un affresco della Chiesa del futuro si richiedono amore e tempo. Non si può non vedere il vuoto dell’anima che è l’obiettivo della modernità. So di potermi tirare addosso l’accusa di oscurantista, antimoderno, e di essere preso a sassate. Ma la cultura occidentale sta propagando questo vuoto come un virus che va oltre i confini dell’Occidente. Alla fine, vince questo — dice indicando il telefono cellulare sulla scrivania —. Il trionfo di una società isolata e sottomessa, anche se si crede continuamente connessa».

Il cardinale Angelo Bagnasco, ex presidente della Cei e dei vescovi europei, è uno dei «grandi vecchi» che accompagneranno durante le Congregazioni, una sorta di pre-Conclave, i 133 elettori. Dal 7 maggio voteranno nella Cappella Sistina per decidere chi prenderà il posto di papa Francesco. E Bagnasco, 82 anni, genovese, uno dei «fratelli maggiori dei cardinali», chiamati ad accompagnarli nella fase preparatoria, è lo specchio di un cattolicesimo allarmato dalle forme che ha preso la modernità; e insoddisfatto per il modo in cui finora la Chiesa ha risposto a una sfida ritenuta esistenziale. Il suo lessico è prudente: più di quanto ci si potrebbe aspettare. E alcune sue parole vanno lette anche tra le righe. Ma l’atto di accusa nei confronti della cultura dell’Occidente è radicale. E sembra prefigurare una Chiesa diversa da quella di Francesco.

Non le sembra di tracciare un quadro apocalittico?

«È vero, è apocalittico. E so bene che posso essere visto come un profeta di sventura. Ma lo penso e lo dico, perché credo sia urgente riscoprire la fede che è incontro e vita con il Signore Gesù, e coltivare la ragione al fine di un pensiero critico che oggi appare proibito. Negli anni Cinquanta del secolo scorso Jacques Maritain scriveva che la mancanza di metafisica creava il vuoto del pensiero; e che l’assenza di verità assolute è “il crimine”. Aveva ragione. Il consumismo è il valletto della finanza e del mercatismo: sono guidati da pochi. E mirano alla costruzione di una società di smarriti da sottomettere docilmente».

Scusi ma la Chiesa dov’è stata mentre si aggravava la situazione fino ad arrivare al punto che lei descrive? In questi anni è stata all’altezza della sfida?

«La Chiesa cammina nella storia. Essa sa cosa c’è nel cuore dell’uomo, la nostalgia dell’infinito, cioè di Dio. Per questo non sarà mai indietro sui tempi. Ma deve leggere anche i segni di Dio nella storia e questo non è sempre immediato. Oggi bisogna fare i conti con un’umanità impaurita…».

Impaurita o insicura?

«Oggi è più evidente che l’umanità è piena di paure: per questo è spesso arrogante e violenta. Anche verso sé stessa, e a volte percorre le vie della droga e dell’alcol. Questo potrebbe portare tutti a riflettere e a reagire, e in fretta: c’è bisogno di ritrovare le ragioni del vivere».

Come mai la Chiesa non ha capito, o comunque non è riuscita a trovare l’antidoto a questa deriva?

«Il primo atto d’amore è dire la verità di Cristo nel quale si trova anche la verità dell’uomo, del cosmo e della storia. E questo senza timore, anche se non è politicamente corretto. Questa verità aiuta gli uomini a stare insieme e a costruire comunità di vita e di destino, aperte a Dio, senza il quale l’uomo non si spiega a sé stesso. L’idea di una società senza Dio è contro l’uomo e non crea una società più giusta e più umana. I vari progetti anche del secolo scorso stanno fallendo».

Eppure, l’impressione è che il tentativo di confrontarsi con la modernità ci sia stato. Le manifestazioni popolari commoventi con le quali è stato celebrato Francesco dicono qualcosa, in questo senso. Jorge Bergoglio è stato un Pontefice attento a quanto si muoveva intorno e dentro la Chiesa, e ha cercato di rappresentarlo e incanalarlo.

«È vero, papa Francesco ha cercato in tutti i modi di entrare in sintonia col mondo moderno, di capirlo e di portare il Vangelo in ogni modo: con la parola, il gesto e la carità».

Sì, ma sembra quasi che lei pensi a una sorta di restaurazione.
«È il contrario. Credo che l’eredità di papa Francesco vada conservata e valorizzata guardando ai duemila anni di storia cristiana. Non si tratta di restaurare ma di continuare a costruire il grande edificio della Chiesa, affinché il campo arato e seminato porti ancora più frutti. Il Signore dice di portare il Vangelo a tutti fino ai confini della terra. In Italia, e anche nel resto dell’Europa, i giovani vogliono una chiara identità di fede perché desiderano spendere la propria vita per Gesù».

C’è chi teme una possibile ingerenza di poteri esterni sul prossimo Conclave. Lei condivide questo timore?
«Sinceramente no. C’è una bolla virtuosa che isola la Cappella Sistina. E le finestre di Casa Santa Marta che ospita i cardinali elettori sono sigillate. In più, credo che cresca la consapevolezza del grande e grave compito al quale sono chiamati i cardinali elettori, e in misura diversa e minore noi tutti».

Si parla della possibilità di un Papa italiano. L’ultimo, Giovanni Paolo I, risale al remoto 1978. Poi si sono succeduti un polacco, un tedesco e un argentino. Si dice che gli italiani possano giocare un ruolo in termini di moderazione, di capacità di ricucire tra settori oggi molto distanti e divisi, di conoscenza del governo della Chiesa.
«Il criterio di scelta non è la provenienza, ma l’intelligenza della fede, il calore del cuore, il coraggio: il resto viene di conseguenza. Con la fede, l’Occidente perde anche la ragione: bisogna saperlo. O si apre al divino, o perde le sue fondamenta, la sua ragione di essere: la sua identità rimane profondamente cristiana. Ciò potrebbe accadere anche in altre parti del mondo, in altre culture. Bisogna camminare insieme dietro al successore di Pietro al quale Cristo ha dato il compito di confermare nella fede i fratelli».

 

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